Indipendentemente dal modello organizzativo, dal mindset operativo, dal framework, dalla metodologia di cui si parla, o da quanto si cerchi di implementare nel proprio contesto, uno degli argomenti di maggior discussione è sempre lo stesso: il multitasking.
Ogni volta che si tocca questo tasto, con domande del tipo:
“su quanti progetti lavorate?” oppure, “di quanti team fate parte?”
le risposte, e le reazioni cinestetiche, sono più o meno sempre le stesse.
Purtroppo, nonostante sia noto da decenni che il “multitasking” sia deleterio, sembra non si riesca a debellare questo male, convinti che, invece, il lavorare su più iniziative in parallelo sia sintomo di efficienza.
La realtà è esattamente l’opposto!
Nel famoso libro “fare il doppio in metà del tempo”, Jeff Sutherland (co-autore di Scrum), riprendendo i risultati del lavoro di Gerald Weinberg (Quality Software Management - New York: Dorset House, 1991), presenta la tabella seguente:
In essa si evidenzia chiaramente che al crescere dei progetti la produttività cala drasticamente.
In pratica, possiamo affermare che chi lavora su 4-5 iniziative in parallelo, semplicemente “non si lavora”. Non che la persona non si impegni, ma che il risultato ottenuto è tutt’altro che apprezzabile.
Il problema è lo switch tra attività che appartengono a diverse iniziative (progetti) che produce uno sforzo cognitivo ed operativo inutile, dovuto al continuo cambio di contesto. Non è solo una questione di operativà tecnica, ma anche “sociale”: ogni iniziativa ha il proprio gruppo di persone di riferimento, e ogni volta che una persona salta da un team all’altro deve interfacciarsi con persone potenzialmente diverse, rendendo molto ardua la possibilità di mantenere un rapporto qualitativo con tutti.
Anche i framework che tanto amiamo (o odiamo, decidete voi 😊) soffrono in modo evidente di tutto questo.
Prendiamo Scrum: una persona che è in due team, su iniziative diverse, dovrebbe per ogni Sprint: fare 2 planning, fare 2 daily al giorno, fare due review, fare due refinement, ecc. eccc.
Insomma, il tempo dedicato agli eventi (che, ribadisco, sono fondamentali ed esistono perché hanno un valore comprovato), crescerebbe esponenzialmente… quando si lavorerebbe a questo punto?
In pratica passeremmo le giornate a fare meeting, o call, e faremmo il vero lavoro, forse, solo in extra time.
La cosa più assurda è che tutto questo, oltre ad essere noto da quarant’anni (in realtà anche molto prima guardando a Toyota), continua ad essere la normalità e la risposta tipica è:
“lo sappiamo, ma non possiamo fare diversamente”
A voi le riflessioni.
Stay tuend 😊