Il nostro viaggio nel mondo DevOps enfatizza costantemente l’importanza di considerare l’intera Line of Business (LOB), se non l’intera azienda, al servizio della realizzazione di un Prodotto o Soluzione che si voglia.
Abbiamo visto come spesso sia difficile arrivare a elementi di sintesi condivisi, essendo DevOps stesso in continua evoluzione e cambiamento, a partire dai principi basilari già evidenzianti in “The Ownership Revolution”: Focus Aziendale, Lean, Integrazione, Condivisione, Monitoraggio, Miglioramento continuo.
Ma come possiamo tracciare il percorso seguire per raggiungere i massimi benefici di una completa integrazione aziendale, andando a motivare anche l’effort necessario al grande cambiamento Culturale annesso a DevOps?
Ebbene, Gene Kim ci propone i “The Three Ways”, un set di principi basilari, di cui i precedenti possono essere considerati una specializzazione, utili a guidare l’azienda nella propria e specifica trasformazione:
- The First Way: System Thinking;
- The Second Way: Amplify Feedback Loops;
- The Third Way: Culture of Continual Experimentation and Learning.
“The First Way” enfatizza la necessità di concentrarsi sull’intera LOB, e quindi su un’ottimizzazione complessiva del Value Stream, cosa che non passa necessariamente per l’ottimizzazione di un silos o dipartimento specifico. Ancora una volta si evidenzia come l’obiettivo sia quello di ottimizzare l’intero processo di creazione di una soluzione: dalla sua idea alla sua messa in esercizio.
La cosa interessante è che i singoli Work Center, i centri focali delle attività, non possono essere ottimizzati oltre il livello attuale se ciò va a scapito del processo globale, ovvero se sia ha un degrado della Value Chain. La logica è quella “pull” di Lean: sono i Work Center a valle a dichiararsi pronti a prendere in carico una nuova attività, per cui è inutile che due Work Center adiacenti viaggino a velocità disallineate, perché si andrebbe a creare un inutile sovrabbondanza di attività in Ready-to-Pull.
Outcomes: la “prima via” responsabilizza i Work Center nella gestione dei difetti, sia di processo che di lavorazione, senza la presunzione che il problema verrà risolto da qualcun altro in qualche modo. Inoltre, come evidenziato, porta all’ottimizzazione complessiva del Value Stream, attraverso una comprensione sempre più profonda dei processi ed evitando di sprecare risorse nell’ottimizzazione delle singole stazioni senza tener conto del disegno complessivo.
“The Second Way” pone l’accento sulla necessità di creare loop di feedback efficaci ed estremamente rapidi.
Per migliorare i propri processi è indispensabile che i feedback arrivino velocemente e che l’origine sia la più significativa possibile, andando a coinvolgere tutti gli attori interessati dal Value Stream.
Outcomes: la “seconda via” porta a rispondere più adeguatamente alle esigenze dei clienti, esterni o interni che siano, riducendo e velocizzando i feedback in modo da aumentare la conoscenza complessiva sugli obiettivi da raggiungere e su cosa è realmente importante focalizzarsi.
“The Third Way” si concentra sulla necessità di creare una Cultura aziendale in grado di sperimentare continuamente, considerando il fallimento alla base dell’apprendimento e dell’abbattimento dei rischi, e focalizzata sulla pratica e sulla ripetizione, ritenendole indispensabile per padroneggiare le attività.
Si tratta di un approccio fondamentale, che consente di esplorare anche le cosiddette “danger zone” proprio perché il fallimento non viene visto come un qualcosa di cui vergognarsi, e quindi da evitare a tutti i costi, anche a discapito di interventi che porterebbero a miglioramenti significativi.
Outcomes: la “terza via” porta a benefici rilevanti che vanno dalla migliore ripartizione del lavoro, a incentivi basati sull’assunzione dei rischi, fino all’approccio di introdurre volontariamente piccoli difetti (ricordate: siamo in regime di micro-esperimenti) per testare la resistenza dell’intero processo.